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Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio

biologico e distribuzione moderna tra potenzialità e opportunità

L’Italia è leader della produzione e dell’export. Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio: “L’obiettivo è di accelerare sempre più sui consumi”

“L’ agricoltura tradizionale nutre la pianta per produrre il più possibile subito. Il biologico nutre la terra per mantenerla fertile. Questo significa aiutare il contrasto al cambiamento climatico e investire sul futuro puntando ad avere una produzione costante e di qualità. L’ideale sarebbe passare dalla filosofia del tutto e subito, che va anche a discapito della qualità, a quella di ciò che serve quando serve”. A parlare è Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio, federazione nazionale fondata nel 1992 con l’obiettivo di sensibilizzare e diffondere la cultura del biologico italiano in ambito nazionale e internazionale.

I dati mostrano che il biologico in Italia sta crescendo. Tra i Paesi dell’Unione Europea siamo quelli che hanno la più alta percentuale di ettari bio.
“Sì, circa il 17,4% contro il circa 10% di Spagna e Francia. In effetti, come produttori siamo il primo Paese, ora l’obiettivo è far incrementare i consumi interni, cresciuti rispetto al passato ma sui quali si può, e si deve, fare ancora molto. D’altronde per certi versi è un po’ paradossale: siamo anche i primi esportatori. L’export bio l’ultimo anno ha superato quota 3 miliardi di euro con una crescita del 181% negli ultimi 10 anni”.

In che senso paradossale? 
“Nel senso delle potenzialità inespresse. Facciamo un passo indietro e guardiamo ai numeri. Guardando all’estero siamo leader di export e produzione ma consumiamo molto meno bio rispetto a Germania, Francia, Olanda e Danimarca. Questo, sia ben chiaro, non significa che i numeri non siano interessanti ma solo che le potenzialità inespresse sono ancora tante”.
 
Infatti, i numeri del mercato interno, in termini assoluti, sono comunque superiori a quelli dell’export, con la distribuzione moderna che si conferma il primo canale.
“Vero, anche se nell’ultimo anno l’export bio è cresciuto del 16% e i consumi interni sono rimasti fermi, i dati del mercato interno in termini assoluti sono sempre superiori rispetto all’export. Guardando ai dati della distribuzione moderna, il 2022 ha fatto segnare acquisti per 2,3 miliardi di euro. In generale, invece, il mercato interno nel 2022 è valso circa 5 miliardi di euro. Questo considerando sia la vendita at home, ossia la grande distribuzione e i negozi specializzati, sia il fuori casa, ossia ristoranti, enoteche e affini, che da soli sono valsi attorno al miliardo. In particolare, il fuori casa è cresciuto oltre il 50%”.

Immagino che su questi dati abbia pesato l’atteso rimbalzo del post-Covid.
“Certo, ma soprattutto questo dimostra che il bio si sta diffondendo moltissimo, tanto che è sempre più facile trovare locali con una valida offerta bio. Situazione opposta per quello a casa, che ha visto una flessione. Anche se, volendo essere ottimisti, è comunque un dato positivo sapere che l’89% delle famiglie italiane ha acquistato almeno un prodotto bio nel 2022. Vero è che vogliamo fare in modo che non ne acquistino solo uno e, soprattutto, vogliamo attirare l’11% restante”.

Quale può essere la ricetta per conquistare questa fetta di “non consumatori”.
“Di certo la comunicazione, su cui FederBio sta puntando tantissimo. Pensate che secondo l’Osservatorio sul biologico, coordinato da Nomisma, 6 consumatori su 10 vorrebbero avere più info sui valori nutrizionali del bio e il 58% in particolare vorrebbe conoscerne i benefici su dieta e salute. E così siamo impegnati in iniziative di promozione vera e propria. Questo mentre stiamo sollecitando il Governo, che ha aperto un tavolo sul Piano d’azione per il biologico, a concretizzare rapidamente il marchio ‘Made in Italy Bio’, previsto dalla legge, perché è evidente che il valore dell’identità e della qualità del cibo italiano si sposa benissimo con la sostenibilità del biologico”.

E ciò aiuterebbe anche l’export.
“Esattamente, in una sorta di circolo virtuoso che poi, in definitiva, avrebbe una ricaduta positiva per gli agricoltori. E su tutto il sistema, visto che ridare centralità al prodotto aiuta a far crescere tutto il comparto economico. Con ottime ricadute sulla salute dei consumatori e sull’ambiente. Sulla salute perché la stagionalità va di pari passo con la varietà della dieta mediterranea e perché i prodotti bio sono più sicuri, vista la grande quantità di controlli a cui sono sottoposti. Dal punto di vista ambientale perché, come accennavamo, la produzione bio non è intensiva, non usa pesticidi, ma rispetta i cicli naturali della terra, favorendo la biodiversità. Non a caso il Green Deal Eu prevede di far triplicare le superfici coltivate a bio entro il 2030”.

Obiettivo ambizioso ma che potrebbe far bene a chi lavora il comparto.
“A questo riguardo ci sono alcuni aspetti fondamentali da far notare. In generale le aziende bio sono mediamente più giovani, più innovative, più green, più competitive e presentano un reddito netto superiore per chi ci lavora. Non a caso perché chi ci lavora deve avere una maggiore professionalità e questa è un’ulteriore opportunità di crescita per il sistema agricolo-alimentare, che dà valore sullo straordinario patrimonio italiano”.
 
 
 
 
di Paola Cacace
 
 

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